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I SOLITI SOSPETTI
(THE USUAL SUSPECTS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 20 maggio 1995
 
di Bryan Singer, con Stephen Baldwin, Gabriel Byrne, Benicio del Toro, Kevin Spacey, Chazz Palmieri, Suzy Amis (Stati Uniti, 1995)
 
Film come SEVEN di David Fincher, LITTLE ODESSA di James Gray (ancora inedito sui nostri schermi) e, in misura minore COPYCAT di John Amiel stanno definitivamente affermando quel genere che viene ormai definito neo-poliziesco (dal francese "néo-noir", o "néo-polar"). Un movimento di rinnovamento che s'iscrive nella tradizione del solo genere americano che (a differenze di altri gloriosi come il western e il musical) non abbia mai subito flessioni nei gusti del pubblico come nel rispetto della critica. Ed è interessante notare come è proprio attraverso questo genere che si sono rivelati molti fra i nuovi cineasti americani, dai fratelli Coen di BLOOD SIMPLE e di MILLER'S CROSSING, al Quentin Tarantino di RESERVOIR DOGS e di PULP FICTION. Essi non hanno fatto che seguire l'esempio dello Scorsese di MEAN STREETS o, prima ancora, di un Kubrick di KILLER'S KISS. Non fosse che per una ragione più che semplice: che il poliziesco permette ogni sorta di variazione, ad un costo di produzione contenuto.

Fra gli ultimi venuti, il film del ventisettenne (!) Bryan Singer s'impone immediatamente alla nostra attenzione, e non solo per l'immediata sensazione di straordinario virtuosismo dettato dalle prime immagini. Ma poiché le sue caratteristiche incontrano, con un'aderenza perfetta quelle delle opere migliori del neo-poliziesco: umorismo destinato a temperare il dramma e la violenza, citazioni destinate a sottolineare la rivisitazione di un genere ma il rifiuto della parodia, perfezione calibrata della sceneggiatura, acutezza nella scelta degli attori, virtuosismo dei dialoghi, tema tipicamente maschile dell'amicizia e del tradimento, costruzioni e conclusioni anti-tradizionali, nell'intento di stimolare l'attenzione dello spettatore senza il timore della manipolazione. Così, in THE USUAL SUSPECTS tutto si organizza a partire dall'interrogatorio di "Verbal" Kint da parte dell'ispettore doganale interpretato d Chazz Palmieri: ogni ipotesi di quest'ultimo sulle dichiarazioni del sospetto è illustrata dal film come se fosse vera. Ma con il progredire della pellicola, ogni nuova dichiarazione di Kint provoca una rettifica visiva del racconto organizzato a flash-back. " Una sorta di specchio " -come spiega Singer- " nel quale lo spettatore ricompone progressivamente la verità. "

Situandosi con sorprendente maturità a metà strada tra il thriller tradizionale e quello moderno, dalla struttura scomposta, I SOLITI SOSPETTI gioca allora con disinvoltura strabilante con quel concetto che voleva che l'immagine cinematografica, e la sua organizzazione in un racconto, non potesse mentire. Tra il serio ed il faceto, Singer fa sua la lezione dei Coen e dei Tarantino: ma finalizzandola su quei temi dell'ambiguità che hanno fatto grandi delle opere come CITIZIEN KANE o RASHOMON.

Semiserio mosaico di mezze verità un film condotto a questo modo riesce a non rompersi il collo solo perché costruito con una padronanza stupefacente dei mezzi cinematografici: sull'appassionante sceneggiatura di un compagno di liceo di Singer, Christopher McQuarrie, i dialoghi s'impongono per l'impressionante alternanza fra umorismo e drammaticità, la fotografia ed il montaggio concorrono alla costruzione di un puzzle mentale che sfocia in un allucinante finale a spirale, gli attori sono di una aderenza, ed al tempo stesso di una originalità indimenticabili. Il risultato: un grande film sulla manipolazione. Il miracolo: che nessuno, fra gli spettatori, uscirà dalla sala furioso per essere stato manipolato. Semplice: ma bisognava pensarci, oltre che saperci fare.


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